Storia e descrizione
A due chilometri circa da Calatafimi, sul versante settentrionale del colle Tre Croci, “su la spianata a mezza costa del monte, dirimpetto alle rovine della antica Segesta”, si erge il Santuario di Maria SS.ma di Giubino, residenza estiva della madonna, uno dei più noti santuari mariani della Sicilia, la cui fama è legata alla memoria del Beato Arcangelo Placenza da Calatafimi (nato nel 1380 e morto nel 1460) trascorse gli anni giovanile da eremita in una grotta del monte stesso. Entrato nel ordine dei frati e trasferitosi ad Alcamo sarebbe anche vissuto in una grotta, presso l’attuale chiesa di s. Maria di Gesù di cui convento è per tradizione, ritenuto fondatore. Il suo corpo si venera in un urna in vetro, situata sull’altare della suddetta chiesa.
Le origini di questo santuario sono antichissime, e qualche studioso moderno pensa di potere identificare il suo sito con quello di una antica fortezza chiamata “Calatagabuni”, di cui si hanno notizie a partire dalla seconda metà secolo XIV; mentre “i primi documenti dell’esistenza della chiesa li troviamo nell’anno 1495”.
La tradizione vuole che il trittico marmoreo (la cui Madonna, scolpita da ignoti e detta del” Giubileo”, divenne poi di Giubino) era originariamente collocata in una chiesa nella contrada di “Angimbè”. La leggenda narra che un giorno alcuni contadini, mentre aravano la terra nel bosco di Angimbè, con grande sorpresa, trovarono la bella Madonna. L’avevano nascosta in quel luogo gli antichi cristiani quando gli eretici iconoclasti distruggevano le sacre immagini. La scoperta fece accorrere molta gente da Calatafimi e dalla vicina Alcamo. Ne nacque una contesa, che la Madonna stessa risolse. Messa la sacra Immagine sopra un carro di buoi, questi attraverso il bosco la portarono a Giubino, e là, sulla spianata, si inginocchiarono. La Madonna su quel poggio voleva la sua Chiesa, ed il popolo vi fabbricò il Santuario. Questa graziosa leggenda, piena di poesia, raccolta da storici e documenti ufficiali, si tramanda ancora raccontata dal popolo.
Grande è stata sempre la devozione che ha nutrito Calatafimi verso la Santissima Vergine divenuta “Patrona del paese” quando nel 1600 a causa di una invasione di cavallette che mise in ginocchio il paese il popolo ormai sconfortato ma pieno di fede rivolse un aiuto al Cielo. Sotto la pressione del momento non seppero decidere quale Santo invocare; il Signore stesso fece la sua scelta. Si decise di fare un bussolo. Per tre volte un bambino estrasse il nome della Madonna di Giubino fra l’incredulità dei presenti l’immagine della Madonna venne smurata e portata in processione verso il paese accompagnata dalle preghiere del popolo. Quando la Sacra Immagine toccò le mura della città si sentì levarsi nell’aria un gran movimento, un turbine di vento spazzò via le cavallette rendendo serena l’area circostante, il popolo allibito cantò inni di laude e ringraziamenti al suo Dio ed alla liberatrice Maria. Così Nostra Signora di Giubino divenne per sempre la Celeste Patrona e la divina Protettrice di Calatafimi. Il popolo ebbe fiducia in lei e la sua speranza non andò confusa. Da allora in città questa Sacra Icona è stata ospitata prima nella chiesa Madre e poi in quella del SS. Crocifisso, fino a quando nel 1907 l’ex chiesa del monastero di S. Caterina divenne il suo santuario di città. Fu in questo santuario che nel 1931 venne finalmente ricomposto e restaurato il trittico.
Ogni anno la seconda domenica di Luglio il simulacro di Maria SS.ma di Giubino viene condotto in processione nel suo antico santuario di campagna, dove resta fino alla terza Domenica di Settembre.
Il santuario comprende una piccola chiesa ed un eremitaggio ad essa attiguo, che “tranne lievi recenti modifiche, conservano ancora le antiche e primiere forme”. Semplice e quasi disadorna la chiesetta, con la porta principale a ponente, misura m 17,60 x 5,15. La cappella dell’unico altare ha solo qualche ornamento. Sull’altare, quando non è collocata l’icona marmorea originale, viene esposto un quadro di Maria SS. Di Giubino datato 1779. “Nel senso della lunghezza della chiesa, dal lato di settentrione, vi è un piccolo corridoio largo m.2,50, dal quale si accede a quattro piccole camerette a guisa di celle, per gli antichi eremiti”. Sotto il santuario c’è una piccola grotta, nella quale si tramanda che il Beato Arcangelo “passava le notti orando e flagellandosi”. Viva è ancora la memoria popolare di un antico cipresso, che fino al 1804 si ergeva vicino al santuario, su cui al Beato “compariva la Santissima Vergine con in braccio il suo diletto Infante”.